Il Gorizionario ha da poco compiuto due mesi di vita, ma fra gli argomenti affrontati ce ne sono alcuni che hanno già dimostrato di poter dare contributi sostanziosi alla nostra raccolta di termini dialettali.
Fra questi figura senz’altro quello relativo agli strumenti educativi utilizzati dai genitori goriziani fino a tutti gli anni ’70 e un pezzo degli anni ’80 per far rigare dritti i propri figli (i cui figli, oggi collaboratori del Gorizionario, sembrano non aver dimenticato neppure a distanza di qualche decennio).
In parole povere si tratta di verbi e sostantivi che riguardano oggetti e azioni atte a punire fisicamente le malefatte dei pargoli, visto che le punizioni corporali (oggi in disuso, anche grazie all’avvento di telefonini e telefoni azzurri) erano universalmente adottate da una parte cospicua dei genitori-educatori del capoluogo isontino.
In verità le botte erano assai diffuse anche nelle scuole, ma in genere gli insegnanti si limitavano all’utilizzo delle mani nude.
Fra i lemmi, figurano bacchette per picchiare le gambe – spesso nude – dei giovani, come la uis’ca, calzature quali zavate di tutti i tipi, impugnate da più di una generazione di goriziani, per raddrizzare le schiene di ragazzini e ragazzine. Le cucine goriziane fornivano una’ampia gamma di armi,fra cui il polentàr.
A volte i termini assumevano connotazioni diverse, a seconda dell’origine del nucleo famigliare, come nel caso del rachili (goriziano), bastone nodoso che assumeva il nome di racli nelle zone friulanofone o rakla in quelle slovene.
Va anche detto che sebbene le botte venissero date in maniera piuttosto sistematica, molti dei vocaboli relativi erano usati per minacciare i pargoli, nella speranza che la sola minaccia potesse indurre questi ultimi a dei comportamenti più consoni a quelli richiesti dai genitori, e gli avvertimenti non sempre si traducevano in azioni.
Però qualche zavatada o semplicemente qualche s’ciafa è stata data. Ben data, direbbe qualcuno.
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